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L’Allghoi Khorhoi.

Vorrei dedicare il primo “vero” articolo alla creatura che mi ha spinto in tutta fretta ad aprire questo blog, d’istinto e senza pensarci troppo: nonostante la mia passione per le creature fantastiche e misteriose sia di lunga data, è solo pochi giorni fa che mi è ricapitato sotto mano questo mistero della natura. Mi affascina da più di dieci anni e vedendo un articolo su un prossimo programma dedicato alle “creature nascoste” ho avuto la spinta per poterne parlare.

A costo di risultare noioso devo ancora una volta ricordarvi che non sono un naturalista e non ho le conoscenze per parlarne in modo scientifico, vedetemi come un cantastorie che cerca di solleticare la vostra curiosità.

Allghoi Khorhoi quindi o, come più comunemente noto, Mongolian Death Worm.

Una rappresentazione della creatura secondo lartista belga Pieter Dirkx.


Come mai sono così affascinato da questa creatura?

Beh, è esattamente il sunto di quello che si cerca in una creatura misteriosa: è sufficentemente “leggendaria”, ha un aspetto mostruoso e ha delle capacità al limite dell’incredibile. In coda all’articolo parlerò anche delle derive cinematografiche che son state ispirate da questo strabiliante essere ma per adesso cominciamo ad esaminarlo seriamente (per quanto può essere possibile).

Questo grosso vermone è un criptide, è quindi una creatura finora non documentata realmente, tutto ciò che si conosce a proposito si basa sulle testimonianze delle persone che ne sono entrate in contatto e perciò anche questo articolo si baserà su queste voci.

Perchè così terrificante e affascinante quindi? Secondo quanto si sa questo abitante del Deserto del Gobi è un grosso verme di un colore rosso acceso che può arrivare a raggiungere la dimensione di un metro e mezzo: la sua pericolosità è data da due mortali abilità, quella di sputare un liquido allo stesso tempo corrosivo e velenoso e la capacità di emettere scariche elettriche abbastanza letali da uccidere un cammello.

Prima di iniziare un appunto sulla seguente fotografia: molti siti la spacciano come vera, uno “scheletro” dell’Allghoi ma in realtà si tratta semplicemente di uno dei tanti lavori di finta tassidermia dell’artista Takeshi Yamada. Nonostante sia finto non fa che aumentare le fantasticherie a proposito della creatura rendendola ancora più intrigante.

Un ipotetico scheletro della creatura.

Le spedizioni.

Il primo uomo che portò le testimonianze della sua esistenza al “grande pubblico” fu il naturalista ed esploratore Roy Chapman Andrews nel 1926 durante una delle numerose spedizioni, tante delle quali proprio in Mongolia. Qui Chapman per la prima volta sentì delle voci dagli abitanti del luogo che parlavano di uno strano verme che viveva sottoterra e assaliva animali e persone con le abilità sopracitate.

Il nome deriva dal mongolo olgoi-khorkhoi e significa più o meno verme intestino poichè ricorda l’aspetto di un intestino, di mucca per essere precisi: lo studioso arrivò alle conclusioni che nessuno aveva realmente visto l’esemplare in questione ma tutti erano fermamente convinti della sua esistenza, segno che certe leggende e tradizioni culturali erano molto radicate nella popolazione indigena. Più o meno ogni popolo ha il proprio spauracchio o babau e sembra proprio che per i mongoli l’Allghoi si sia appropriato di questo ruolo. Chapman parlerà di questo e della sua spedizione nel libro On the Trail of Ancient Man.


Uno dei più grossi “cacciatori” del nostro caro vermiciattolo è Ivan Mackerle, un criptozoologo ceco, che spinto dalle voci di uno studente universitario mongolo decise di organizzare una spedizione nel 1990, anche grazie alla caduta del comunismo, trovando però solo gente terrorizzata al solo parlarne. Con molta difficoltà riuscì a raccogliere diverse testimonianze scoprendo che la creatura sembra prediligere i mesi estivi per uscire dal letargo in cerca di cibo e che sembra essere attratto dal colore giallo. La spedizione, così come le successive due nel 1992 e 2004, saranno però infruttuose dal punto di vista pratico, riuscendi a racimolare solo i passaparola e le esperienze visive degli abitanti.

Un altro criptozoologo, tra i più affermati e competenti di oggi,  porterà all’attenzione del grande pubblico la leggenda del Mongolian Death Worm: nel 1996 Karl Shuker ne parlerà nel suo libro The Unexplained e in altri volumi successivi. La sua tesi principale è che il verme in questione altro non sia che un’Amphisbaenidae,  una particolare famiglia di amphisbaenians, quindi non un verme ma qualcosa di più simile a un rettile.

Un’altra spedizione degna di nota è quella del CFZ (Centre for Fortean Zoology) che nel 2005, guidati da Richard Freeman, hanno passato un mese alla ricerca dell’insolito verme tornando ovviamente a mani vuote: il resoconto di quel viaggio è diventato un documentario in due parti che potete vedere qui e qui.

Infine il reporter David Farrier, affascinato proprio dai racconti di Freeman, organizza nel 2009 una spedizione personale che anche stavolta non porterà a risultati effetivi se non l’ennesimo documentario fatto di testimonianze locali. Sul suo blog dedicato al progetto potete leggere le sue esperienze.

Uno studio della creatura secondo Rob Farrier.

Le ipotesi.

Come detto in precedenza ci sono gli scettici e i sostenitori dell’esistenza di un criptide, anche in questo caso vengono sollevati dei dubbi che i criptozoologi tentano di spiegare razionalmente.

Prima di tutto le dimensioni, per molti un metro e mezzo è esageratamente troppo per un verme ma in realtà abbiamo esempi che smentiscono questa affermazione, come il giant Gippsland earthworm che può arrivare a ben 3 metri di lunghezza.

Per quanto lanciare fulmini sia più un’esagerazione da fumetto o film horror è noto il fatto che le anguille elettriche riescono a generare delle scariche di circa 600 volt che possono stordire o anche uccidere eventuali prede o nemici. Per ora gli unici esemplari con questa capacità si trovano sui fondali marini, l’ipotesi è che il death worm sia un’evoluzione di un particolare tipo di anguilla elettrica (che comunque è un anguilla solo nell’aspetto, appartenendo alla famiglia dei Gymnotiformes) vissuta in antichità in quello che un tempo era un oceano e ora è il deserto del Gobi. A rafforzare questa ipotesi sono le testimonianze che indicano come i periodi dopo le pioggie, quando la sabbia è bagnata, quelli in cui gli Allghoi escono in superficie.

Riguardo al veleno corrosivo anche qui possiamo essere in presenza di un’esagerazione ma potrebbe essere un metodo simile a quello di molti ragni che “sciolgono” le prede all’interno per poterle divorare più agevolmente. Esistono comunque particolari specie di cobra che sputano il proprio veleno di qualche metro.

In definitiva è un po’ il vecchio gioco del telefono: se hai 20 persone che si bisbigliano una frase state certi che la prima e l’ultima saranno diverse al limite dell’assurdo ma la ventesima contiene comunque un fondo di verità, sicuramente esasperato. E così funziona con le storie e credenze popolari che solitamente si tramandano per via orale, magari per spaventare i più piccoli, quindi dopo anni e anni la storia si modifica, nuovi terrificanti particolari vengono aggiunti e la creatura diventa sempre più spaventosa.

Esistono poi le teorie più fantasiose che parlano di radiazioni e mutazioni dovute agli esperimenti nucleari compiuti durante gli anni della guerra fredda, per non parlare dell’immancabile progetto ultrasegreto del solito governo che ha creato nuovi mostri in laboratorio.

Per ora la tesi più plausibile è quella citata da Shuker, con la possibilità che le suddette abilità dell’animale esistano anche se in maniera non così amplificata.

La finzione.

Converrete con me che il nostro vermetto ha un fascino non indifferente e possiamo perciò ritrovare dei richiami, voluti o meno, nella moderna cinematografia “leggera”.

Anche se in questi casi ci troviamo ad esagerazioni ancora più mostruose è indubbio che vedere certe creature sulle schermo ci faccia pensare al terrore della Mongolia.

E allora come dimenticare i serpentoni a strisce di Beetlejuice, o gli immensi Shai-Hulud di Dune, o ancora i più recenti e famosi Graboid della serie Tremors.

Le proporzioni dei vermoni della fiction cinematografica.


Infine un recente film tv che prende il nome dall’omonimo protagonista.

Siamo giunti alla fine di questo nostro viaggio alla scoperta del letale verme della Mongolia e mi auguro di aver fatto scoccare la scintilla della curiosità in alcuni di voi. Sperando che i grossi vermoni non popolino i vostri prossimi incubi vi lascio e vado a cercare qualche altro esemplare nascosto da presentarvi nelle prossime puntate.